La foto è degli inizi degli anni Cinquanta del Novecento. E' un documento interessante perché riprende uno scorcio del paese di Uggiano Montefusco (frazione di Manduria), come appariva all'epoca. Abito scuro fino alle caviglie, Giovanna Morrone è stata immortalata nella strada dove abitava. Una strada dove si intravedono panni stesi, "la lemma" (il tipico enorme contenitore di ceramica destinato al lavaggio della biancheria), "lu traìnu" (il mezzo di trasporto agricolo per eccellenza). Una fotografia che racconta la vita quotidiana di una donna dell'epoca. Curiosità: per tutti era Nina jatta (gatta) perché da piccola era solita graffiare i compagni di gioco se perdeva le staffe.
POMPEO VITA (1808 - 1863): sacerdote, fu emerito scienziato, ottimo scrittore ed insegnante del Principe ereditario Francesco II, figlio di Federico II. Rettore al Regio Collegio di San Carlo a Mortelle, pubblicò gli "Elementi di Geografia" con proprio atlante e lasciò molti componimenti in versi ed in prosa per lo più persi in quanto inediti.
Nel 1901, l'architetto Ferdinando Campasena creò il progetto del palazzo municipale di Torre Santa Susanna, il cui completamento nel 1908 segnò l'apice della sua creatività. I lavori, affidati al costruttore Angelo Debaris dopo un'accurata selezione tramite gara d'appalto, durarono dal 1904 al 1908.
Durante la sua realizzazione, il comune era governato dal Sindaco Nicola Chiarelli, coadiuvato dal segretario comunale Eugenio Carella. Il palazzo sorse su terreni appartenuti alla famiglia Chiarelli, con coinvolgimento di altri proprietari espropriati come i signori Raffaele Pizzignaco, Cesario Orlando, gli eredi Profilo e il Beneficio di Sant’Antonio.
La facciata principale del palazzo si affacciava su Via Osanna, successivamente rinominata Piazza Umberto I in onore del Re ucciso a Monza. L'edificio, oltre a rappresentare un simbolo di prestigio per la comunità, fu uno dei primi municipi del Novecento nella zona, suscitando grande orgoglio tra i cittadini di Torre Santa Susanna.
Si presenta una passeggiata organizzata per mostrare i monumenti e luoghi sconosciuti del territorio di Torre Santa Susanna. Intervista realizzata da IdeaRadio all'avvocato Raffaele Misseri che è stato promotore nel 2024 di un' iniziativa per mostrare luoghi nell'agro della cittadina e far conoscere anche l'evoluzione extra urbana di Torre Santa Susanna prima della sua nascita come centro urbano.
Castello dei Conti Filo: imponente e severo maniero, racchiuso tra due torrioni sopravanzati, contornato di merli, presenta al centro della facciata un portale a bugnato sormontato dallo stemma dei Conti Filo che, attraverso un vestibolo, conduce nel vasto cortile da cui si può accedere nel resto degli ambienti: il salone delle decime, che conserva ancora alcuni interessanti medaglioni affrescati sul soffitto a botte, la fossa granaria sotterranea, le scuderie, ora trasformate in un vero e proprio museo, la cappella gentilizia dove si conserva l’unico altare barocco in legno di tutta la Provincia, e l’ingresso allo scalone che conduce al piano nobile, dove si susseguono stanze e saloni magnificamente arredati.
Nel documento "Il moto liberale del 1817" di A. Lucarelli conservato nell'Emeroteca della provincia di Brindisi a pagina 6 c'è il riferimento a Cestino Scarciglia.
Michele Greco, nel suo lavoro "Manduria nel Risorgimento", dice che Celestino Scarciglia “deve essere considerato il protomartire salentino della libertà”, in quanto fu uno dei primi rivoluzionari che si batté per la libertà contro i Borbone. Collaborò all’organizzazione dell’insurrezione popolare da attuarsi nel Regno di Napoli nel 1794; scoperto, fu arrestato nella stessa città di Napoli. In seguito prese parte ai moti del 1799 combattendo a difesa della costituita Repubblica partenopea.
L’agro di Avetrana, custodisce un importante patrimonio di masserie che raccontano la storia agricola e sociale del territorio. Questi complessi rurali, nati tra il XVII e il XIX secolo, erano centri di produzione e gestione dei fondi agricoli, spesso autosufficienti e abitati da famiglie di contadini e braccianti. Le masserie sorgevano in punti strategici per il controllo del territorio e per la vicinanza ai campi coltivati, alla macchia mediterranea o ai percorsi di transumanza. Alcune di esse, come Masseria La Marina, si trovano nei pressi della costa e avevano anche funzioni di avvistamento o difesa. Masseria Bosco è tra le più antiche e conserva elementi architettonici che indicano una funzione anche residenziale per i proprietari. Altre, come Masseria Scasserba e Masseria Maviglia, erano centri produttivi con stalle, cisterne, frantoi e granai. Queste strutture erano spesso fortificate, con muri a secco, torri di guardia e cortili chiusi per difendersi dalle incursioni. Le masserie non erano solo luoghi di lavoro, ma anche centri sociali e religiosi: molte possedevano piccole cappelle e partecipavano alla vita delle campagne circostanti. Alcune erano legate a famiglie nobili o ordini religiosi, come nel caso della Masseria della Madonna del Casale. Oggi molte di queste masserie sono abbandonate, ma alcune sono state recuperate e trasformate in agriturismi o residenze turistiche, contribuendo alla valorizzazione del paesaggio rurale. La loro presenza rappresenta una testimonianza concreta della cultura contadina e del rapporto millenario tra uomo e terra in questo angolo di Puglia. Con le loro architetture sobrie ma imponenti, continuano a raccontare storie di fatica, identità e tradizioni.
Una descrizione della cittadina ripresa da un yuotuber che ha fatto visita ad Avetrana nel 2024, raccogliendo elementi di interesse storico e curiosità del territorio della comunità avetranese.
Anche il mare ha le sue superstizioni… Piacemi qui registrare il pregiudizio del bue marino, nel quale ha credenza il popolo d´un piccolo villaggio: Avetrana, sita a due chilometri dal mar Ionio, e circondata da paludi. Da una di queste paludi, a sud-est del villaggio, esce, specialmente in tempo di burrasca, un cupo lamento, che si ripete di tratto in tratto per tre o quattro volte. Il lamento somiglia alla voce del bue, e nella notte risuona lugubremente per grande estensione di spazio. Anch´io, trovandomi in quelle vicinanze a caccia, l´ho ascoltato di giorno e di notte. È uno strano muggito, di bue ferito e agonizzante. Il popolo vi ha ricamato mille bizzarre storielle, tramandate di generazione in generazione. Chi racconta che un giorno, in quel punto, scomparve un gran cavaliere saraceno, montato su di un magnifico cavallo nero, colle armi, le corazze e le bardature di oro massiccio, e che da quel giorno invoca aiuto, senza che nessuno possa apprestargliene. Altri racconta che colà gettossi a capo fitto, nel cuor della notte, un frate, un giovane frate impazzito per amor d´una bella donna, e che quel / lamento che s´ode è la voce dell´infelice, condannato in eterno in quel luogo di martirio. Ed altri dice che un giorno dal prossimo mare uscì un gran mostro, che somigliava a un bue, ma era dieci o venti volte più grande di questo: pellegrinò il mostro per queste terre, poi cadde nella palude, da cui non può uscire. E altre, e altre ipotesi si fanno dalla feconda fantasia popolare. La verità scientifica è questa, se non cado in errore: la palude comunica per nascosti o sotterranei meandri, col mare Ionio; quando spira vento di scirocco, questo si gonfia a tempesta, e invade quella e altre paludi: entrando le onde violentemente nelle misteriose grotte del sottosuolo, producono quel lamento, o muggito. Ma il popolo di scienza non comprende neppure il nome, e sorride di incredulità a chi lo spiega così, e ritiene e tramanda di padre in figlio la graziosa leggenda sopra riportate.
Esiste ancora, nell´attuale salone della chiesa matrice, una vecchia statua di S. Antonio di Padova interamente scolpita in pietra, sulla cui base sono incise le lettere S.A.P. (Sanctus Antonius Paduae). Unica menzione quella dell’ arciprete Francesco Valerio Briganti nel 1747 che, in una sua relazione sulla chiesa parrocchiale, la descrive con un angelo d´argento. Di fattura non eccelsa la sua realizzazione potrebbe collocarsi intorno alla seconda metà del XVII secolo circa. Orbene, a questa statua sembra sia legato un antichissimo aneddoto che tuttora i più anziani amano ancora raccontare ai più giovani. La leggenda racconta che nottetempo ignoti (la tradizione vuole manduriani) giunti, con un biroccio trainato da buoi, nei pressi della chiesa prelevarono la pesantissima statua dileguandosi poi nel buio della notte. Bisogna sapere che a quel tempo la statua era collocata in una delle due nicchie in basso del prospetto principale (sull´altra vi era la statua di S. Biagio). La loro collocazione era giustificata dal fatto che entrambi erano venerati come protettori del borgo. In poco tempo e tra mille scossoni, attraversando silenziosamente il borgo, il carretto era oltre le mura. Tuttavia, giunti nei pressi dello "spartifieu", al confine, vale a dire, interfeudale Avetrana/Manduria, per cause misteriose la statua divenne così pesante, tanto che i pur possenti animali non riuscivano più a trainarla. I trafugatori allora, per farla diventare più leggera, decisero di asportarne parte del retro: ma anche così non c’era niente da fare: la statua restava lì immobile e più pesante che mai. Interpretando il tutto come sinistro presagio essi decisero di riportare indietro la statua che (altro prodigio) all´istante divenne leggerissima. La ricondussero rapidamente nel borgo, la abbandonarono sul sagrato della chiesa e se la diedero frettolosamente a gambe, Lì, il mattino seguente, parroco e fedeli, la trovarono, esterrefatti e senza darsi spiegazioni. Impossibile stabilire se la statua in questione sia quella attualmente conservata nella salone della chiesa, tuttavia una rapida osservazione della scultura permette di cogliere una strana coincidenza con i fatti narrati cioè: il retro della statua risulta effettivamente come svuotato. E dunque, realtà o leggenda? Impossibile dare una risposta certa finché non c’è il supporto di un adeguata documentazione storica.
Si allegano le immagini delle due statue di Sant'Antonio che si trovano ancora oggi nella Chiesa madre di Avetrana. Le immagini sono tratte dal sito web https://www.sigecweb.beniculturali.it/ dove si trovano le schede con la descrizione completa delle statue.
Chiantare bbarracca e bburattini
L’espressione è tratta dal teatro delle marionette. Il burattinaio, quando non riusciva più a divertire il pubblico, per non annoiare, chiudeva il sipario e andava all’osteria.
In località Padreterno a circa 1km dal centro di Erchie vi è ubicata l’antica Grotta Messapica denominata dell’Annunziata. Costruita tra il V- IV secolo a.C. durante appunto il periodo messapico. Fu rifugio dei monaci Basiliani tra il X e XI secolo d.C.
La leggenda più conosciuta e famosa inerente al paese di Erchie è sicuramente quella legata al culto di Santa Lucia. Nel XI secolo il generale bizantino Giorgio Maniace traslò le Sacre spoglie della Santa da Siracusa a Costantinopoli, come dono per l’imperatrice Teodora. Durante il viaggio approdò nella boscaglia oritana, vicino ad Hercle, qui presso la grotta dell’Annunziata vivevano i monaci basiliani, i quali trasformarono l’avvallamento in una cappella. Nel corso dei secoli la cappella fu abbandonata, finché nel 1500, secondo la leggenda, durante un periodo di grave siccità, un vaccaro inseguendo una mucca che si era allontanata, la trovò che beveva da una fonte zampillante e in prossimità di essa c’era proprio il quadretto della Santa. Gli Ercolani lo recuperarono ed edificarono un Tempio nel luogo del ritrovamento.
Si vedono diverse immagini riprese da un pilota americano che ci mostrano sia come si organizzavano le missioni aeree, ma anche la comunione fra i soldati statunitensi e i cittadini del luogo quando avevo del tempo libero, particolare interessante si vede quando vanno a conoscere una famiglia che abitava in una masseria del territorio fra Manduria e Oria, oggi scomparsa.
Vico degli Ebrei anni '20-30. Come dice il nome delle stessa strada, la foto ritrae una delle zone del centro storico dove vi è ubicata un'antica Sinagoga tuttora visibile e visitabile, in foto a sinistra, con arcata semitonda tinteggiata a calce bianca.
In fondo si intravede una signora vestita di nero che cammina su strada in battuto di tufo
Fotografie d'epoca danno la possibilità di comprendere i cambiamenti che hanno riguardato l'assetto urbano nel corso degli anni. Interessante è rivedere attività commerciali legate alla storia della comunità, come il negozio di alimentari della famiglia Erario oppure il distributore di benzina nei pressi della chiesa di San Leonardo.
La collina denominata Li Castelli è ubicata a circa 5 km a S di Manduria, lungo la strada che porta alla località costiera di S. Pietro in Bevagna. Le prime tracce d’insediamento sull’altura risalgono al Neolitico. Dopo un lungo intervallo, l’altura torna ad essere frequentata a partire dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. Il villaggio iapigio, localizzato sulla sommità dell’altura, conosce una importante trasformazione già nel VI secolo a.C., periodo al quale si data il primo impianto della cerchia muraria più antica, che recinge la parte più alta della collina. Successivamente, tra il IV ed il III secolo a.C. l’insediamento conosce un notevole sviluppo in senso urbano, il cui aspetto più evidente è costituito dalla realizzazione di due ulteriori cerchie murarie concentriche. L’insediamento sembra essere abbandonato a partire dal III secolo a.C.
Il fonte pliniano di Manduria è una sorgente d'acqua dolce situata nei pressi delle antiche mura della città messapica di Manduria, in Puglia. Prende il nome da Plinio il Vecchio, che la menziona nella sua Naturalis Historia. L'acqua della sorgente era considerata perenne e pura, tanto da non variare mai il suo livello, anche in tempo di siccità. Questo luogo, ricco di storia e leggenda, era già noto in epoca romana e simboleggiava per i locali un legame profondo tra natura e sacralità. Ancora oggi è visitabile e rappresenta una testimonianza importante del passato della regione.
A Manduria, in Puglia, esiste un’antica tradizione conosciuta come la Processione degli Alberi, un rito solenne e suggestivo nato per invocare la pioggia nei periodi di grave siccità. Questo evento affonda le sue radici in tempi molto lontani ed è legato alla figura di San Pietro, venerato in una piccola chiesa nei pressi della torre di Bevagna, a circa dieci chilometri dal paese. Secondo una leggenda, proprio qui San Pietro sarebbe sbarcato insieme a San Marco, dando inizio all’evangelizzazione della zona e battezzando le genti nel fiume Bevagna, le cui acque da allora si ritengono miracolose.
Quando la siccità diventava insostenibile, le popolazioni locali si riunivano per fare un voto collettivo, chiedendo il permesso al sindaco e, tramite lui, all’abate. Una volta stabilita la data, migliaia di persone si recavano alla chiesa di Bevagna. Trascorrevano la notte all’aperto, illuminando i campi con piccole luci, in un’atmosfera carica di fede e speranza. All’alba partiva la processione: una lunga fila ordinata di persone, con in testa gli uomini e in fondo l’abate, che portava la sacra immagine di San Pietro dentro una teca sorretta da giovani. Il cammino era accompagnato da squilli di tromba e da litanie in dialetto che recitavano:
Santu Pietru binidittu
ca allu desertu stai
tantu bene ti ozze Cristu
ca te donau le chiai
tanni a nui lu Paradisu
tu ca n’hai la potistai
I partecipanti portavano rami, ceppi, croci o pesanti sassi come segno di penitenza. I rami, spesso di ginepro o lentisco, venivano poi conservati nelle case come oggetti sacri. Una volta giunti a Manduria, il santo veniva accolto ufficialmente dal sindaco, ma solo dopo la firma di un contratto in cui si prometteva di riportare l’effige nella chiesa d’origine. Il santo rimaneva in città per circa una settimana, durante la quale si tenevano preghiere e celebrazioni. Il ritorno a Bevagna avveniva con la stessa solennità: gioioso se la pioggia era arrivata, mesto se il miracolo non si era compiuto.
Un raro filmato del 1933, realizzato dall’Istituto Luce, documenta questa processione, testimoniando la forza e la bellezza di un rito che, ancora oggi, viene celebrato in occasioni speciali.
Un video, con diverse interviste, racconta le bellezze di Fragagnano. Il video è realizzato da A.N.I.M. APS (Associazione Nazionale Italiani nel Mondo.
L'immagine restituisce la piazza centrale di Fragagnano come appariva nel 1939. Sullo sfondo la cupola della Chiesa Madre. Nessuna automobile, tante biciclette.
Il transito di Sant'Antonio si inserisce all’interno del contesto delle attività tradizionali di Fragagnano. Si tratta di una processione che rievoca l’ultimo viaggio di S. Antonio (patrono del paese dal 1904) morente all’ Ancella. Il rito prende spunto dalle celebrazioni dei frati custodi dei santuari antoniani di Padova nel 1931 in occasione del VII° centenario della morte del Santo. La prima edizione della processione si è svolta nel 2011. L’ itinerario della processione, con figuranti in costumi d’epoca realizzati da volontarie, si snoda dalla Chiesa Madre lungo le vie del paese, per concludersi presso la Chiesa Madre Medesima sul sagrato della quale viene celebrata la Santa Messa. La statua di S. Antonio morente viene portata su un carro trainato da un asino, mentre voci narranti leggono brani delle fonti antoniane che rievocano quanto accadde il pomeriggio del 13 giugno 1231.
LA STAZIONE ROMANA DI CONTRADA PUZZU UELU
Il sito è vicinissimo all'antico tracciato dell'Appia antica, l'ultimo tratto che collegava Roma e Brindisi, passando l’antica Taranto. Molto probabilmente tutti i soldati, che facevano la spola tra l'Italia e le province, passavano da qui. Addirittura Giulio Cesare e Cleopatra. È ancora visibile la traccia profonda lasciata dai carri nella roccia in contrada Puzzu Uelu, dove è ben riscontrabile un complesso sistema viario a doppia corsia e deviazione, in prossimità di un pozzo scavato nella roccia, miracolosamente salvo, con annessi abbeveratoi per i cavalli e per i soldati. Insomma una "stazione romana".